Il 26 Settembre di 70 anni fa nasceva Tex Willer.
Pensate che coincidenza, il 26 Settembre di 32 anni fa nasceva anche Dylan Dog.
Dovrei festeggiare, oggi.
Ma il 26 Settembre è una data che detesto, come detesto le coincidenze.
Oggi è la ricorrenza della morte di Sergio Bonelli, l’Editore che li ha amati, pubblicati, che è cresciuto con loro e che ancora oggi non li ha lasciati soli.
Molti, oggi, parleranno di Tex e di Dylan Dog.
Io invece vorrei parlare di lui.

Tra me e Bonelli c’era una certa similitudine d’idee, non posso proprio dire di non essere stato influenzato dai suoi modi. Era un gentiluomo e questo affascinava molte persone, era un galantuomo e questo sbigottiva chi all’esistenza dei galantuomini non sapeva credere.
Non era un uomo d’altri tempi, oh, no: lui quei tempi li aveva costruiti.
Ora, nel 2018, a sette anni dalla sua morte, io sono qui su questo blog a parlare ancora di lui, a darne una visione differente, più personale, meno legata ai suoi personaggi o alla sua Casa Editrice.

Vorrei parlarvi del suo talento: Sergio Bonelli faceva succedere le cose.
Ha coinvolto migliaia di persone, gli ha cambiato la vita, col lavoro, col denaro, con la sua stima personale, offrendo loro opportunità, cultura, affetto, esempio.
Ha fatto in modo che le persone da lui scelte facessero altrettanto con altri, continuando nel suo solco. Ha insegnato che l’impegno paga, che la meritocrazia esiste, che persino in Italia si può creare un’ Azienda florida quanto una multinazionale senza compromessi con l’etica, senza corruzioni, guadagnando soldi (tanti, per decenni) solo con lo scrupolo di fare un buon lavoro artigianale.

È stato in grado di suggerire per anni, con i fatti e con l’esempio, che il rispetto non si compra ma si mostra. Anche se si è ricchi, potenti, famosi, corteggiati. Bonelli rispettava tutti. Era puntuale. Gentile con chiunque. Signorile con gli invidiosi, silenzioso con i polemici, civile con i litigiosi.
Ha dato un esempio di sobrietà non distante, creando una continuazione.
Non mi riferisco solo all’ambiente di lavoro, ma a tutte le categorie di persone con le quali è venuto in contatto in tanti anni di carriera. Le ha influenzate, suggerendo loro una modalità affascinante che le ha portate ad essere persone migliori.

Ecco, questo, io credo, è stato il suo talento: Sergio Bonelli faceva succedere le cose.
Ora sono passati sette anni, adesso parlare di lui è leggermente meno “trendy”, le commemorazioni si diradano, come è giusto e fisiologico.
Quelle che ancora sono in atto tendono più a parlare dell’Editore, dei progetti futuri della sua Casa Editrice, delle Opere del passato, piuttosto che dell’uomo.

Qui, invece, vorrei raccontarvi la persona, con un paio di miei ricordi su di lui.
Vorrei raccontarvi del Signore Gentile, che ancora mi manca, in un mondo in cui i galantuomini sono sempre più in minoranza e sempre più in ombra.
1. LA CENA E LA LAUREA.
Quello che Sergio Bonelli ha significato per me è davvero difficile dirlo.
Mi ha ispirato, ma non nel senso (fumettistico) che si possa immaginare; mi ha ispirato nella vita, per la sua rettitudine, la signorilità, il modo caparbio ma corretto, rispettoso dell’altrui condizione, umana, sociale e di pensiero. Sono stato un suo lettore per anni, ed essere diventato un suo collaboratore mi fa, ancora oggi, un effetto strano.
E, di contro, mi ha posto da allora in poi in una condizione di non potergli mai dire quanto gli volessi bene.
Oggi ho il rimpianto di essere stato poco coraggioso, di non averlo saputo abbracciare, ero timoroso di sembrare un corteggiatore, scioccamente, giacché Bonelli era ben in grado di riconoscere i gesti veri da quelli ruffiani.
Nell’occasione della sua scomparsa mi è stato chiesto di raccontare un aneddoto: difficile, un aneddoto inedito. Molti possono raccontare più e meglio di me i momenti in redazione, Bonelli che lavorava anche il 25 Dicembre, Bonelli che scivolava su un fiume in Amazzonia, Bonelli che sapeva dire sempre una parola giusta…
Eppure c’è un episodio che paradossalmente conosciamo davvero in pochi: la cena con cui abbiamo festeggiato la sua laurea Honoris Causa.
Dopo la cerimonia all’Università la Sapienza alla presenza di centinaia di persone, dei professori, del Magnifico Rettore, di giornalisti, collaboratori, lettori e fan, Bonelli ci portò a cena, a Roma, in un ristorante dietro al Senato della Repubblica: eravamo pochissimi, 6 persone, e l’Editore era contento, soddisfatto, direi felice.
Perché abbia invitato anche me non so davvero dirlo, ma tant’è.
Abbiamo chiaccherato tutta la sera, raccontava del suo incontro di anni prima con Pietro Germi, di quanto lo ammirasse e quanto Germi invece fosse stato scostante, si capiva che lui se ne ricordava ogni volta gli si riproponeva la scena, a ruoli invertiti; forse anche per quello Bonelli si poneva sempre disponibile, non so, mi piace pensare che non volesse essere come Pietro Germi, o che chi lo avvicinava non dovesse provare la delusione che provò lui da giovane.
Di nuovo, ennesimamente, durante quella cena raccontò di come amasse ancora i fumetti. Mille aneddoti, raccontati con grande umorismo, con cento buffe faccette, come sapeva fare lui. Aveva chiesto un vino rosso strepitoso (di cui non saprò mai il nome, ma era buonissimo). Una bella cena tra pochi amici. Gli piaceva festeggiare così, tra pochi intimi, un’occasione che avrebbe potuto raccogliere 150 persone senza problemi.
Mentre uscivamo dal ristorante un signore si è alzato da un tavolo, per invitarlo: al tavolo c’era Giulio Tremonti, che in quel periodo era il vice presidente del Consiglio dei Ministri, e che voleva conoscerlo.
E mentre lo aspettavamo sulla porta Bonelli è andato, è stato presentato, ha fatto un paio di sorrisi e di battute, e dopo un minuto o due si è congedato.
Alla richiesta di rimanere a bere un bicchiere, lo ho sentito testualmente dire: ”Volentieri, ma non posso davvero. Non posso far aspettare i miei amici”.
Sapreste dire quanti imprenditori farebbero aspettare amici e collaboratori per un colloquio con il terzo uomo politico più potente d’Italia?
Tutti. Legittimamente, anche.
Lui no. Era un uomo leale, non un opportunista.
Ci ha raggiunto, Bonelli, ha preso un taxi e quando l’ho salutato ringraziandolo per la cena mi ha detto “No, grazie a te, Cascioli. Mi hai fatto felice”. Si riferiva al mio regalo per la laurea, un’illustrazione a colori dei suoi sei personaggi più famosi. Era questa qui:

Ecco, questo era Bonelli.
Se ne fregava degli applausi, lui preferiva il rumore delle pagine sfogliate, amava festeggiare con pochi amici e preferiva un’illustrazione a colori a un quarto d’ora con politici potenti.
Bonelli ti offriva una cena, un vino strepitoso, mille aneddoti con cento buffe faccette e poi ti ringraziava. Quasi ti convinceva che eri stato tu a fargli un piacere.
Troppe cene mi ha offerto, per lavoro. Ma quella della sua laurea Honoris Causa, al ristorante dietro al Senato, quella proprio non me la scordo.
Forse è vero, che l’ho fatto felice, quella sera.
Ma lui mi ha fatto sognare tutta la vita.
Dal 1974.
2. L’INIZIO
Nel 1974 avevo 10 anni. Non avevo mai letto un fumetto della Bonelli prima di allora.
In edicola c’era Tex n.167, “La notte degli assassini”.
Disegni di Giovanni Ticci.
L’ho comprato, sfogliato con le mie manine, ed è stato il mio primo Tex, 44 anni fa.
A tavola 90 c’era un primo piano di Kit Carson. Questo qui:

Quel disegno mi ha folgorato, era una faccia troppo bella. Ho pensato che se l’avessi copiata tutti i giorni sarei diventato un disegnatore di fumetti. I bambini, si sa, sono caparbi.
E così ho cominciato.
Ho conosciuto quel mondo fatto di disegni da copiare e la penna di Sergio Bonelli mi ha accompagnato negli anni successivi, con le sceneggiature di Zagor, di Mister No, anche di Tex, con quelle lettere ai lettori fantastiche, con un piglio ed un’etica inequivocabili.
Così accompagnato sono diventato un ragazzo, poi un uomo.
Ho imparato a distanza a seguire l’esempio di questo Signore Gentile, a conoscere il difficile equilibrio tra l’imprenditore concreto e l’uomo generoso dai grandi slanci.
Bonelli diplomatico, Bonelli dal carattere forte, Bonelli miliardario con la Panda, Bonelli galantuomo, l’importanza della parola data.
Intanto, per abitudine, dal 1974 al 1994 io quella faccia di Kit Carson ogni tanto continuavo a copiarla.
E poi, tardi, a 30 anni, dopo essere diventato uomo ed aver fatto una carriera di speaker radiofonico e direttore artistico di emittenti private, mi sono ritrovato a lavorare per Bonelli.
A disegnare professionalmente per quel Signore Gentile, l’uomo dei mille aneddoti, l’Editore che pagava sempre puntuale, che offriva occasioni, guadagni, cene e alberghi a quattro stelle, che poi ti ringraziava anche.
L’ho guardato, stavolta da vicino, ed era proprio come mi aspettavo, come già sapevo: vero, vivo, appassionato, etico fino al midollo.
L’ho studiato, il Signore Gentile, e mi piaceva tanto.
Abbiamo avuto un bel rapporto, gli ho voluto bene, per quanto era galantuomo e per ciò che ho imparato da lui.
Disegno Nathan Never da 24 anni, ed ogni volta che devo visualizzare un’automobile, un’astronave o un volto, io guardo ancora quel Kit Carson di Ticci, il cui ingrandimento ho incorniciato, appeso al muro sul mio tavolo da disegno.
In quel volto del vecchio Kit c’è tutto il mio rapporto con Bonelli, l’Editore illuminato che ha permesso a Ticci di disegnarlo e a me di crescere sognando di avvicinarmi alla levatura dell’uno ed all’Arte dell’altro.

C’è la storia della mia vita, in quella vignetta.
Il mio senso etico.
Ed anche il mio mestiere.
Si, oggi lo so disegnare Kit Carson. Non mi viene neanche troppo male.

Ma ancora lo studio, quel volto in bianco e nero, senza riuscire a stancarmi di quella freschezza, senza più illudermi di eguagliarlo, che tanto, quello che doveva darmi lo già ha dato.
Oggi Bonelli non c’è più, Ticci ha più di settant’anni e siamo amici, oltre che colleghi. Disegna ancora in maniera superlativa.
Quando mi incontra mi sorride, dice “Ciao, Cascioli”, e solo questo me lo fa sembrare un gigante.
O forse sono io che in quel momento mi percepisco alto come un bambino di dieci anni.

Io ho ormai un po’ più di mezzo secolo e dopo una vita passata a cercare il volto di quel cowboy con i miei pennelli sono riuscito a trovare un Kit Carson decente su cui lavorare con il pennello elettronico.
Ma 44 anni fa non avrei mai pensato che lo avrei trovato nello specchio.
Buffo. Bastava aspettare.

Quasi a significare, in fondo, che l’uomo che sono oggi lo sono diventato insieme a lui, il vecchio Kit dagli occhi chiari, presente costantemente in tutta la mia vita.
Presente ed importante tanto quanto quello che ha rappresentato per me il Signore Gentile a cui ho voluto tanto bene.
3. L’OMAGGIO DI FABIO CELONI.
Ne ho visti tanti di omaggi a Bonelli, quando ci ha lasciato. E io stesso feci un Nathan piangente che so essere piaciuto molto. Lo vedete qui sotto.

Altri miei colleghi, illustri, hanno fatto cose belle e bellissime. Ma nessuno di noi, a mio parere, ha raccontato meglio di Fabio Celoni la voglia di avventura di Bonelli e l’affetto e la gratitudine dei lettori, tre elementi essenziali raccontati nella tavola-gioiello che leggete qui in basso.

La tavola di Fabio ha solo un difetto, purtroppo: già dopo un paio di riquadri i disegni appaiono sfocati, dalla quarta vignetta in poi risultano parecchio appannati. Forse è per questo che gli occhi fanno fatica, si arrossano, fino a bagnarsi. Mi fa sempre quest’effetto, ogni volta, e dopo 7 anni ancora non mi passa.
Devo smettere di rileggerla, non me lo posso permettere, soffro di sinusite.
Ma non ci riesco, è troppo bella, troppo perfetta.
A Bonelli sarebbe piaciuta. In fondo, aveva ragione lui: non c’è bisogno di nessuna vignetta scontornata per raccontare di grandi spazi aperti e avventure infinite.
Ora lui non c’è più e non riesco ancora a farmene una ragione.
Come disegnatore e ora anche come scrittore, da 7 anni, ogni 26 Settembre, io mi sento come una matita spezzata.
Andrea Cascioli.
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©2018 ETICO, BISBETICO, FRENETICO, PATETICO.
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Vorrei tanto anche io il disegno che hai fatto a Bonelli per la laurea ho sempre ammirato lui e voi disegnatori siete quelli che Mi avete fatto crescere aspettando una volta al mesi di leggere zagor, mister no, tex , Dylan dog, Martin mystery e Nathan never… Che ogni volta che mio padre si presentava noi figli chiedevamo “l’hai finito?” per leggerlo eravamo 4 figli e un papà immagini che fila? Tanti ne ho ancora conservati.. Il primo Dylan dog, tex 100, svariati Nathan, svariati zagor ma tanti me se li sono presi per non riportarli più e quelli rimasti li rileggo continuamente..
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Vorrei tanto anche io il disegno che hai fatto a Bonelli per la laurea ho sempre ammirato lui e voi disegnatori siete quelli che Mi avete fatto crescere aspettando una volta al mesi di leggere zagor, mister no, tex , Dylan dog, Martin mystery e Nathan never… Che ogni volta che mio padre si presentava noi figli chiedevamo “l’hai finito?” per leggerlo eravamo 4 figli e un papà immagini che fila? Tanti ne ho ancora conservati.. Il primo Dylan dog, tex 100, svariati Nathan, svariati zagor ma tanti me se li sono presi per non riportarli più e quelli rimasti li rileggo continuamente.
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Mi permetti di postare qui il mio piccolo ricordo? Ho incontrato Sergio Bonelli una sola volta, 22 anni fa, ad una conferenza di cui ho ancora il manifesto appeso a casa. Papà aveva letto sul giornale di quell’evento alla Sapienza e mi ci portò (allora già leggevamo Tex da anni). Arrivato il mio turno nella fila degli autografi io gli do la copia del giornale con la sua foto e lui con finto stupore mi sorride e mi fa “E questo chi è?” e firma inserendo l’autografo in una nuvoletta sulla sua testa della foto. Sergio Bonelli è stato sicuramente una parte molto importante della mia vita, quanto i suoi fumetti lo sono tuttora, e l’ha resa molto più bella e colorata. Il mio grazie per l’eternità.
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Un ricordo molto bello. Ha accompagnato anche la mia vita. Conservo di lui la sua lettera di risposta (perché, come sappiamo, rispondeva personalmente a TUTTI i lettori che gli scrivevano) a una mia missiva. Mi ero deciso a scrivergli dopo una vita passata assieme a lui e ai suoi personaggi, approfittando dell’anniversario di Zagor. Nella sua risposta, la sua proverbiale gentilezza e affabilità, rimproverandomi affettuosamente per aver aspettato tanto a scrivergli. A Settembre non c’era più. E’ andato via nel giorno in cui i miei genitori si sposarono. Fa parte delle date di famiglia. E’ incredibile come certe persone riescano a rimanere nella memoria in modo tanto forte e, direi, affettuoso. Un uomo di successo, la cui maggiore prerogativa era di essere un grande Uomo.
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Non sono nessuno e sicuramente NON so disegnare. Ma ho colpe peggiori: “mai” sono andato a vedere chi era il disegnatore, anche se in alcune occasioni (personaggi Disney), era avvertibile un sensibile peggioramento.
Non sono mai “volutamente” andato a vedere chi disegnava perché io non leggevo i fumetti. In particolar modo amavo Zagor The Nay ma non l’ho mai letto: io entravo nel suo mondo, mi ci immergevo totalmente, catartico.
Lo osservavo Zagor (non mi sono mai permesso di sentirmi lui) e non solo, come un’anima privilegiata che volteggia a poca distanza dal suo eroe.
Non sono mai andato a vedere chi lo disegnava per questo: avrei rotto l’incanto, avrei saputo che Zagor e tutti quei personaggi non vivevano di vita propria, non esistevano davvero e questo per me, era impossibile.
Oggi non leggo più i fumetti. Non so perché.
Ma so una cosa certa: non dimentico nulla di quella sensazione di totale estraniazione dalla realtà, di cui ho goduto per tanti anni.
E allora grazie, grazie a tutte le persone che hanno lavorato con passione e ispirazione per rendermi felice e diverso da ciò che sarei stato senza i fumetti.
E grazie a te Andrea, perché rendi degna una matita di esistere e così facendo, qualcuno vive ancora le emozioni che provavo io e forse, con la stessa intensità.
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