SULL’OMOFOBIA.
C’è un motivo per il quale il 17 Maggio è una data internazionale che racconta quanto si debba ancora parlare di omofobia.
Il 17 Maggio del 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità rimuoveva l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie, determinando quello che tutti sappiamo, ovvero che l’orientamento sessuale fa semplicemente parte dell’identità di ognuno di noi, che non esiste alcuna “patologia” o alcuna “devianza”.
Sull’identità mi soffermerò in futuro, oggi voglio parlare di omofobia, non di omosessualità.
Dopo il 1990, per ventisette anni, l’Italia non ha approvato alcuna legge contro l’omofobia, mentre altri Paesi l’hanno ritenuta un reato già da tempo.
L’altro giorno il Governo italiano ha approvato una legge sul cyberbullismo, piaga sociale che spesso ha anche a che fare con l’omofobia. Ci stiamo avvicinando, ma ovviamente non abbastanza.
Da questo punto di vista noi non siamo un Paese civile.
Abbiamo tanto da ridire sugli extracomunitari, sui Paesi da cui provengono, ma pare che amiamo assai più certe mentalità ottuse e integraliste che affermiamo di combattere, piuttosto che quelle aperte di Paesi che si dimostrano più tolleranti, più rispettosi di scelte e identità, più civili dell’Italia.
Come spesso accade ai mediocri, copiamo chi è peggio di noi, perché copiare chi è meglio implica lo sforzo di essere all’altezza.
Sembriamo tendere ad assomigliare sempre più volentieri a culture che mostrano odio, che non accettano, che non riconoscono Diritti, che reputano l’omosessualità un malfunzionamento della mente, o una pratica del Demonio.
In quei Paesi meno civili la donna non è considerata alla pari dell’uomo, la religione è imposta, e l’omosessualità è condannata, mentre l’omofobia no.
Li critichiamo, ma nei fatti gli assomigliamo.
Due giorni fa una mia amica insegnante alle materne mi ha raccontato di un bambino sconvolto a scuola: ha indagato e scoperto che il piccolo il giorno prima accarezzava i gattini partoriti dalla micia di casa, era molto dolce con loro.
Suo padre era contrario, ha messo i gattini in un sacco e davanti agli occhi del bambino ha sbattuto il sacco più volte contro il muro, ammazzando i cuccioli.
Alla maestra che lo ha convocato ha detto: “è colpa di mia moglie, con tutte quelle carezze ai gattini lo farà diventare frocio! Dovevo pure fare qualcosa per fortificarlo e impedirlo!”
Ecco, l’omofobia è questo. Travestiti da carnefici, da giudici o da inquisitori, noi abbiamo paura.
Paura dell’omosessualità, che esista, perfino che possa presentarsi “eventualmente”.
Produce danni, l’omofobia. Quel bambino rimarrà danneggiato in modo grave, suo padre ha creato un bel po’ di problemi al proprio figlio.
Ora archivierete questa storia con una condanna morale nei confronti di quell’uomo, io invece mi soffermo sul background di quel padre, sono quasi sicuro che anche lui da piccolo ha dovuto subire un condizionamento, mi chiedo per quale motivo ritiene l’omosessualità così paurosa da giustificare un atteggiamento del genere e le conseguenze traumatiche che ne derivano.
Ripenso a quel killer di Orlando negli USA che l’anno scorso ha fatto una strage in un locale gay e che poi si è scoperto che lo ha fatto nell’illusione di nascondere la propria omosessualità al padre integralista e omofobo.
Aveva paura di suo padre, il killer di Orlando, del suo giudizio.
Mica lo giustifico, nemmeno lo assolvo, ma metto a fuoco che esiste una paura, che chiamarla omofobia non è esagerato, la parola “fobia” (paura) è estremamente corretta.
Che cosa possiamo fare per impedire questo?
Possiamo fare delle leggi che tutelano, che certificano la parità dei diritti, che condannano l’omofobia, il bullismo, la ghettizzazione.
Detesto indicare un problema e fermarmi lì.
Ho una soluzione.
La consapevolezza.
Dobbiamo essere consapevoli che siamo paurosi. Tutti.
Specialmente quando ignoriamo, ci voltiamo, non conosciamo.
Perché il diverso fa paura, potrebbe essere contagioso, chissà che succede se si viene a sapere, chissà che pensa la gente di questa brutta cosa, s’è sempre saputo che è sbagliato, è contro natura, le Sacre Scritture dicono altro, e soprattutto… e se poi mi piace?
E se scopro che è normale, che non è una mostruosità, che non è una malattia, che per anni ho sbagliato?
Dio, che paura che mi fa tutto questo, che paura che mi fa mio figlio che fa la voce sottile mentre accarezza i gattini, Dio che paura che mi fa la gente, il giudizio, rischiare di trovarmi dalla parte sbagliata!
Di nuovo, la sintesi è la stessa applicabile al razzismo, all’intolleranza, al fascismo e al bullismo: ci si veste da carnefici, per dimostrare di non essere vittime, terrorizzati all’idea di esserlo.
Sull’identità (di genere ma anche di altro) parlerò in un’altra occasione, sempre su questo blog.
Questo di oggi è un articolo che ho reputato doveroso per dire la mia opinione sull’omofobia, in occasione della Giornata di ieri (17 Maggio).
Qui concludo commentando le quattro foto che avete visto più in alto e sottolineando che esistono delle sottocategorie: l’omofobia (paura dell’omosessualità), la bifobia (paura della bisessualità) e la transfobia (paura della transessualità).
Minimizzare queste paure affermando che “mi danno solo fastidio”, “sono loro che…” oppure con toni goliardici e arroganti, non cambia le cose e non le stempera: sempre paura è.
Quanto al padre di quel bambino dei gattini, vi esorto a non odiarlo, a non pensare a lui se non come accessorio di un discorso più grande, che riguarda suo figlio, il quale spero diventi migliore del suo genitore, cresca in un mondo tollerante verso le scelte e le identità, che diventi un uomo sereno che voterà un parlamento civile per fare leggi giuste.
Tipo quella che in Italia ancora manca, contro l’omofobia.
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© 2017 ETICO, BISBETICO, FRENETICO, PATETICO.
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