TUTTA COLPA DI MACHIAVELLI.

Proprio oggi leggevo su Facebook i commenti alla vicenda (la trovate QUI) di quel padre siciliano “violentatore terapeutico” della figlia 15enne in quanto lesbica: centinaia di commenti violenti, turpi, raccapriccianti.
Tutti arrabbiati con lui, col mostro, senza minimamente commentare il fatto che tutto il paese in cui vivevano in Sicilia spalleggiasse il padre “giusto” e non i diritti della figlia “sbagliata”.
Questo per dire che il mostro non è mai uno solo, ma i mostri siamo tutti se proteggiamo e favoreggiamo una cultura ottusa che si perpetra; solo che se facciamo un minimo di danni in meno non siamo additati come mostri.
A volte nemmeno come complici.
Ma quello siamo.
E l’opinione pubblica poco etica o basata sull’odio insulta, odia, promette atrocità vendicative ma si autoassolve confrontandosi con chi picchia, stupra, maltratta, in ragione di quel minimo di danno in meno; non mi riferisco solo agli abitanti retrogradi di quel paese siciliano, ma anche ai millemila odiatori sul web, leoni da tastiera che augurano morte e atroci tormenti al padre stupratore.
Il più gentile tra i commentatori era una tipa che gli augurava di bruciare vivo.
Troppo odio, troppa aggressività. Non è diversa da quella di quel padre violento.
Ognuno si sente giudice supremo e dispensa condanne al rogo, morte e torture, dimenticando che un vero giudice fa ben altro.
Io penso che si dovrebbe mantenere un atteggiamento sobrio, un certo odio gratuito sul web mi infastidisce, le parole di quei commentatori non mi trovano d’accordo e ne voglio parlare: a mio avviso sono inerenti al clima attuale di odio “a priori”, estrinsecato platealmente verso tutto e verso tutti, a dimostrare la propria integerrima appartenenza alla parte che appartiene ai “giusti“.
Anche quel padre (con evidenti turbe sessuali pre-esistenti) ha trovato nella scelta “sbagliata” di sua figlia una scusa per manifestare la propria bestialità, ritenendosi giustificato in quanto si sentiva nella ragione.
Ovviamente nella scelta omosessuale di sua figlia Francesca non c’è nulla di sbagliato, ma per lui si, e nella propria presunta ragione lui ha trovato l’autorizzazione a far uscire il peggio di sé, quasi se quella ragione giustificasse atti e modi che altrimenti sarebbero sbagliati.
Invece sono sbagliati sempre.
Il fine giustifica i mezzi” diceva Niccolò Machiavelli.
Bel danno ha fatto.
Accade spesso che il convincimento di essere nella ragione, il sentirsi rappresentanti di una causa Santa e Giusta, faccia sentire certe persone in diritto di esprimere violentemente il proprio parere o la parte più aggressiva di loro.
Alcuni di più, come quelli che mettono in pratica atti turpi, altri un po’ meno, come chi odia “a parole” sul web, e ovviamente tra le parole e i fatti ci passa un abisso giuridico.
Ma non filosofico o etico: la molla che scatta è la medesima.
L’augurio di bruciare vivo qualcuno (neanche morto, proprio “vivo”) è aggressivo, mi sa tanto di Santa Inquisizione.
Che sia un mascalzone o un brav’uomo, poco cambia.
Si stupirebbe colei che ha scritto quel commento (una dei millemila odiatori), e forse si offenderebbe pure pensando “Quel mostro violenta la figlia e poi questo sconosciuto fa il processo a me?!?”, però io credo che tutta questa violenza (verbale e non) che leggo spesso nella cronaca nera ma anche nei commenti sul web nasconda una fortissima repressione; sia nella vita reale che su internet la gente non aspetta altro che una comoda scusa per farla uscire fuori e sfogarsi.
Farlo a parole è giuridicamente diversissimo dal farlo nei fatti, è ovvio. 
Ma il principio è lo stesso.
Appena ci si sente “autorizzati” dal torto altrui si tira fuori il peggio di se stessi, ed è la stessa formula, sia per i violenti nei fatti che per i violenti verbali.
Se l’è meritato” è la scusa di tutti i violenti, dalla semplice parolaccia allo schiaffo, dall’insulto esagerato allo stupro, dalla gogna mediatica alla bomba terrorista, dalla condanna inquisitoria alla maestra che “educa” i bambini con i pizzichi.
Di questa scusa le donne sono spesso vittime (la storia della minigonna che giustifica le molestie è un classico), ma non solo.
È comune che tutti ci sentiamo dalla parte della ragione, o quantomeno abbiamo o crediamo di avere delle ragioni valide. 
Quindi in nome di esse siamo autorizzati a odiare, attaccare aggressivamente? 
È sbagliato. 
Sarebbe meglio un po’ più di sobrietà, proprio in quanto si è dalla parte della ragione, invece sembra dare più soddisfazione al proprio ego un atteggiamento violento, usare gesti forti o parole esagerate. 
Perché il fine ultimo pare essere sempre il proprio ego.
Intendiamoci, lo è anche il mio in questo articolo in cui mi celebro pseudo santone pacifista, ma almeno questa auto-soddisfazione tende verso il ragionamento, non verso l’odio, e il numero di parole che sto spendendo dimostra che occorre un certo impegno: scrivere quattro parole d’odio con tre punti esclamativi in effetti sarebbe molto più facile e sbrigativo.
Però bisogna anche chiedersi cosa produce.
Se odiare a prescindere in nome del fatto che si è dalla parte della ragione diviene una pratica culturalmente accettata, passa il principio che ognuno si sente autorizzato a dare il peggio di se stesso, anziché il meglio.
Che lo si faccia in nome della religione, di una fazione politica, della Legge, o dei propri convincimenti sessuali, poco cambia: chi usa la violenza è Caino.
E prescindendo dal motivo “giusto” o “santo”, se si usa la stessa violenza di Caino, si è esattamente come lui.

Andrea Cascioli.


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5 commenti

  1. Mi trovo molto d’accordo con quello che scrivi, mi piacciono i tuoi commenti, li trovo sensati e sempre un ottimo spunto di riflessione. Tuttavia quello che mi pare sia, sempre, il nodo da sciogliere è “che facciamo?”. Mi spiego: la maggior parte delle persone di cui leggo volentieri i pensieri mi lascia a metà,perché ok, tutto molto vero, ottima analisi ma poi? quando si parla genericamente di cultura da cambiare abbiamo detto tutto e niente, cosa si può fare concretamente e nell’immediato per mitigare questo clima di odio? come cercare di ridurre a più miti consigli o meglio a più miti pensieri gli odiatori da tastiera? Le indagini sociopsicologiche sono utili ma io non leggo mai, da parte di nessuno, una proposta, concreta, fattibile, immediata. Ieri vedevo un servizio in tv sulla mattanza di balene e delfini in quelle isole vicino alla Danimarca, una cosa che per chi ama gli animali, rispetta la vita ed ha ha cuore il pianeta è una coltellata nel cuore. Ci sono volontari che si impegnano in mare aperto, nel freddo gelido e a rischio speronamento, per salvare qualche esemplare, consapevoli che poco non solo è meglio di niente ma può essere tanto, perché dimostrano che si può FARE. Ecco, io nel mio piccolo vorrei fare qualcosa, ognuno dovrebbe fare qualcosa, se ogni persona “perbene” non si limitasse a non alimenatre odio ma a cercare di interrompere la spirale, magari agendo anche solo su un odiatore da tastiera, a farlo riflettere, calmare, ragionare…utopia? sì, ma è come salvare una balena

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  2. Ilaria ciao, grazie dei complimenti.
    Vedi, qualcosa da fare c’è sempre, e attiene al nostro privato: ognuno ha il proprio, con modalità diverse.
    Il compito di chi scrive un articolo non è di cambiare il mondo e nemmeno di offrire la propria soluzione ma in qualche modo di informare, esprimersi, e fare nel proprio piccolo un po’ di “cultura“.
    Il tema trattato in questo articolo è puramente culturale, etico (questo blog parla solo di etica) e la mia rimane un’opinione personale.
    Tanto vuole essere, e tant’è.
    Se poi questo esprimere opinioni a volte diviene stimolo per una reazione fattiva da parte di chi lo legge, è una possibilità variabile che dipende dalla diversa intenzione di agire che caratterizza ognuno di noi in modo diverso dagli altri.
    In pratica, è come un giornalista che scrive un articolo sui furti nelle case: il lettore che volesse intraprendere delle azioni può scegliere se diventare poliziotto o montare un antifurto a protezione della propria casa, o decidere di non partire per le vacanze estive nel timore che gli venga rubato il quadro a olio del nonno che tiene esposto in salotto.
    Ogni articolo di questo blog non è un manuale per passare al contrattacco armati di soluzioni, è un racconto filtrato dai miei occhi e della mia opinione personale, nulla di più.
    Questo non è il blog di Aranzulla in cui si spiega come aggiustare il telefonino oppure Giallo Zafferano sul quale si può leggere la ricetta tradizionale e indiscutibile dei carciofi alla giudia.
    Quando si parla di etica, di cultura, di comportamenti umani, i confini sono meno netti e l’azione ha 1000 sfumature, dalla maestra che insegna il rispetto ai bambini fino al carabiniere che arresta materialmente il violento.
    Sì, hai ragione, non sempre l’analisi di qualcosa porta ad una soluzione, ma so per certo che ognuna delle 1000 soluzioni possibili può essere funzionale esclusivamente dopo un’analisi del problema.
    Anche per scendere in mare per difendere le balene, prima devi avere una cultura informata sulla navigazione, su come viene uccisa una balena, su quanto è lunga una baleniera, su quanti uomini di equipaggio devi affrontare.
    Quando ti sei fatta un’idea culturale ed etica della cosa e l’hai analizzata puoi decidere come porti nei confronti della questione, anche fattivamente: puoi decidere di donare del denaro a Greenpeace, puoi scendere in mare con loro, puoi decidere di boicottare i prodotti realizzati con le parti di balena, puoi scendere in piazza per dimostrare il tuo dissenso, puoi impegnarti in politica e portare avanti la battaglia a favore delle balene.
    Ma tutto questo avviene una volta che hai maturato un’opinione etica nella tua coscienza.
    E quella prima fase non è fattiva, ma è riflessiva, filosofica ed analitica.
    Fra l’altro proprio quell’odio di cui parlavo in questo articolo è spesso derivante da un desiderio di essere fattivi subito, senza analizzare e senza considerare la parte etica delle questioni, senza una filosofia di supporto alla propria voglia disperata di “fare qualcosa subito”.
    Io non sono un uomo d’azione, io rifletto e faccio riflettere. Non è molto, non a caso parlavo di 2 cent, e anche se pochi li metto in questo blog a disposizione di chi è nella fase analitica. Sperando di essere utile a qualcuno che cerca le proprie personali soluzioni fattive.
    Concludo dicendoti che sono fermamente convinto che tutto questo non convincerà mai alcun violento ad esserlo meno, ma potrebbe aiutare qualcuno o qualcuna a capire meglio chi è violento e perché, e a trovare un proprio modo personale per difendersi.
    Ti abbraccio, Ilaria.

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  3. bel blog e bel post, complimenti, ti ho già inserito nei preferiti.

    I social ormai sono diventati canali di scolo in cui defluisce il percolato della varia umanità (ne ho parlato anche io) tendenzialmente giustizialista e forcaiola, diciamo estremista (non di rado autolesionista), l’argomento in oggetto dovrebbe essere visto sotto una ottica sociologica.

    Evoluzioni e conquiste sociali non sono mai traguardi indolori, soprattutto se repentine, l’umanoide che si è prodotto in uno stupro incestuoso “terapeutico” è ingiustificabile e meriterebbe un TSO prima ancora del carcere, ammesso qualche giudice creativo non lo assolva aggrappandosi ad astruse congetture, come pare vada di moda oggi nei Palagiustizia. La solidarietà dei compaesani è figlia di una distorsione culturale millenaria, non molto diversa da quella che impone a padri e fratelli musulmani di adottare sistemi educativi violenti per “raddrizzare” figlie e sorelle affascinate dal modus vivendi Italiano e/o occidentale.

    Per giungere a un ottimale status quo livellato e capillare, bisognerebbe attivare nuovi e lunghi processi di acculturamento sociale, fin dall’infanzia, soprattutto procedere per gradi senza creare traumi, percorso calcolabile in un paio di ricambi generazionali. Condannare la responsabilità individuale è cosa buona e giusta ma socialmente inutile se il resto del paesello eleverà l’episodio a modello (in casi analoghi) per porre in essere minacce e direttrici ataviche.

    Quelli che tu definisci “leoni da tastiera”, ovviamente agnelli nel reale, testimoniano quanto si sia ancora lontani da quella civiltà troppo spesso sbandierata superficialmente, l’imperante pensiero “politically correct” costringe a una omologazione solo apparente, di facciata, omologazione che provoca reazioni biasimevoli in soggetti che hanno individuato nella rete un baluardo di becera ribellione. Per fare un esempio… l’omofobia la si può combattere e magari anche eliminare ma solo grazie a un percorso formativo/educativo (rispetto della persone a prescindere dagli orientamenti), di sicuro non obbligando tout court a usare il termine gay dichiarando fuori legge espressioni terricole. Fin quando qualcuno non si metterà a erudire in merito in modo chiaro e convincente, un “ignorante” non coglierà mai la differenza tra “gay” e “frocio”.

    chiedo venia per la prolissità

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    • Forse in effetti occorre spiegare agli ignoranti le differenze tra parole e parole, e anche tra parole e intenzioni.
      Nel frattempo se personalmente mi capita di ritenere che anche nelle terminologie esistano parole e insulti, credo sia giusto condannare gli insulti.
      Non tanto per la parola in sé, quanto per l’atteggiamento che porta ad usarla: “gay” o “frocio” non sono due termini equivalenti, il secondo termine lo si usa per insultare; l’intenzione dispregiativa è da condannare.
      Quando ero bambino mi hanno insegnato che alle persone si dice “anziano”, non “vecchio”, altrimenti si offendono. Finché ero bambino mi sembrava che le due parole fossero sinonimi, non capivo la differenza.
      Oggi ho 55 anni, la barba candida e se qualcuno mi dovesse chiamare “vecchio” lo giustizierei sul posto con un colpo alla nuca.

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      • E’ esattamente quello che intendevo, marcando la differenza sostanziale (ergo culturale) tra l’imposizione e l’erudizione.
        Sono più “anziano” di te ma se qualche giovincello dovesse darmi del “vecchio”, io, anche per coerenza con quanto ho scritto, giustizierei i suoi genitori.

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