CAPITOLO TRE
IL CAPITOLO CHE RACCONTA DELLA MENTE
Il pavimento chiaro della stazione dei Carabinieri di via dei Gelsi era leggermente in discesa.
L’edificio era vecchio, del primo dopoguerra, la pavimentazione era originale e all’epoca dell’edificazione il calcolo della pendenza poteva reputarsi un improbabile concetto.
Certo il capomastro di allora non riteneva che tanti anni dopo una mente complicata si sarebbe potuta soffermare a misurare quanto il pavimento fosse in pendenza in base alla velocità con la quale l’acqua scorreva.
Figurarsi.
Anziché formare una piccola pozza sotto alla sedia di Fessacchiotto, l’acqua che gocciolava dal suo cappotto scorreva lentamente verso la porta della stanza di fronte, lui la seguiva con occhi attenti calcolando mentalmente di quanti centimetri al minuto procedesse, e decise che erano circa 34, ovvero un metro ogni 3 minuti, quindi 10 metri ogni 30 minuti.
– Fessacchiotto Roberto!
“In pratica 20 metri l’ora – pensò. – Non è per nulla veloce”.
– Fessacchiotto Roberto! – rimbombò la voce inascoltata.
“In base a questa velocità per calcolare la pendenza dovrei…”
– È lei Fessacchiotto Roberto?
Solo in quel momento sentì la voce del piantone della caserma che lo chiamava. Anzi, più che altro fu alquanto infastidito dal reverbero ambientale, un’eco fastidiosa provocata dal suono della voce troppo alta che rimbalzava tra le pareti spoglie.
Trasalì.
– Eccomi. Scusi, ero sovrappensiero – sorrise cortese.
Il piantone rimase fermo, indicando la strada con la mano aperta.
– Venga, il maresciallo le vuole parlare.
Roberto cominciò a camminare con passo misurato per il corridoio, precedendo il militare che lo seguiva.
Le sue scarpe bagnate producevano un buffo “ciaf ciaf” e dietro di sé sentiva quelle del carabiniere: scricchiolavano, uno scricchiolio ogni due passi.
“Non è un gesto di cortesia” – pensava del fatto che il piantone non lo precedesse.
“Si tratta di un protocollo, in una caserma dev’essere inaccettabile che un militare volti le spalle a un visitatore.”
“Le moderne divise dei carabinieri le ha disegnate Giorgio Armani nel 1982. Adesso mi fanno venire in mente la lattina lunga della Coca Cola Zero. All’epoca fu un design davvero all’avanguardia.”
“Ecco, ora ho sete”.
“20 x 24 fa 480 metri ogni giorno. ”
“Devo trovare del latte di capra, tra qualche ora apriranno i negozi.”
“480 x 30 fa quasi quattordici chilometri e mezzo in un mese. Tutto sommato quella pendenza non è poi così insignificante, valutandone gli effetti alla lunga distanza.”
“Latte di capra fresco…”
Fessacchiotto non pensava quasi mai a una sola cosa per volta.
“Qualsiasi questione alla lunga non è insignificante.”
Alla fine del corridoio le nocche del carabiniere battendo contro la porta bianca produssero un “toc toc” profondo e sordo, il suono non era reverberato.
“Non è mica tamburato, questa porta è di massello” – pensò Roberto come fosse un falegname – “Sicuramente per garantire che attraverso non si possa sentire alcuna parola. Chissà quante ipotesi, confidenze, confessioni. Chissà quante menzogne. Chissà quante verità.”
Era analitico per natura, ma propendeva a giustificarsi con se stesso raccontandosi che ciò accadesse per una deformazione professionale, o per scrupolo.
Che patetica scusa.
– Avanti! – gridò forte una voce appena udibile attraverso la porta.
“Ecco, avevo ragione, è di massello!”
– Maresciallo, c’è il sospettato che hanno fermato sotto la pioggia.
– Prego, fallo entrare, Tarcisi – disse il maresciallo senza alzare il suo sguardo dalle carte sparse sulla scrivania – Arrivo subito.
Il piantone salutò Fessacchiotto con un cenno del capo e richiuse la porta dietro di sé, andando via.
Lo scrittore rimase in piedi, in mezzo alla stanza. Si guardò intorno, osservò il ritratto del Presidente della Repubblica, la libreria, la sedia davanti alla scrivania, l’armadietto metallico, l’attaccapanni treppiedi con appeso il cinturone con la pistola del maresciallo proprio davanti alla finestra in fondo a destra.
Niente tende. Fuori, oltre quei vetri chiusi e le sbarre, nuovamente pioveva a dirotto dal cielo ancora buio. Il graduato teneva ancora la testa abbassata, stava guardando gli incartamenti e le fotografie che aveva sparse sulla superficie legnosa stanca di mille verbali.
Erano quelle della donna morta. Ne riconobbe la scarpa rovesciata, alcuni dettagli, la ruota del furgone. Il militare era assorto, e ci fu una piccola attesa.
Fessacchiotto ruppe il silenzio.
– Te la sei spassata con lei.
Il maresciallo rimase per un attimo fermo, quindi alzò la testa molto lentamente voltandola verso la finestra. Restò immobile per circa tre secondi, come a pensare, osservando leggermente in alto, quindi con uno sguardo obliquo guardò negli occhi lo scrittore.
– Robertino, tu mi stupisci sempre – dichiarò.
– Dovresti conoscermi, Dodo. Sono attento.
– Mah, ti sei fatto fermare per accertamenti. Sei attento solo quando ti pare.
– Senti chi parla – fece due passi avanti e raggiunse la scrivania – Se lo viene a sapere Marcella sei fregato.
– Mia moglie non può capire. Si tratta di una cosa personale, questo è un coinvolgimento emotivo.
– Tu l’hai abbracciata con la divisa, pure! – Roberto allungò la mano verso l’uniforme nera del maresciallo – Guardati, te la sei stropicciata addosso, sei tutto pieno di peli.
– Poi mi sarei spazzolato…
– Eh, no, Dodo, tua moglie se ne sarebbe accorta lo stesso, allergica com’è – lo rimproverò.
Poi inclinando stanco la testa fece scrocchiare le vertebre del collo.
– Dove l’hai messa?
– È nel cassetto. Dorme. – Il maresciallo indicò in basso con gli occhi.
Fessacchiotto si sporse sovrastando la scrivania e guardando oltre, in direzione della cassettiera alla sinistra delle gambe dell’amico: nel cassetto aperto, su di una sciarpa di lana, ora era asciutta e vaporosa, la micetta tricolore che dormiva acciambellata.
– No, non ho potuto resistere, Robertino, ha fatto le fusa non appena l’ho accarezzata. Tu eri di là per la registrazione dei documenti…
– Ecco, potevi evitarmelo, invece di pomiciarti la mia gattina.
– La registrazione è un atto dovuto. E non è la tua gattina. Mi hanno riferito che l’hai trovata sotto l’acqua due ore fa.
– Eh, l’avevo vista dalla finestra in mezzo alla strada. È un miracolo che io sia riuscito a vederla in mezzo a quel temporale fortissimo.
Assunse un’aria soddisfatta, erigendosi impettito.
– Adesso è la mia gattina. – disse fiero di sé.
Il militare sorrise sobriamente divertito.
– L’hai fatto pure al liceo.
– Cosa?
– Durante la lezione della Strega. Sei uscito di corsa senza ombrello e hai salvato un gattino minuscolo incastrato sotto una macchina.
– Nell’ammortizzatore. Però era la lezione di chimica e quella volta non avevo nemmeno i croccantini da scuotere per attirarlo.
– No, era la Strega e pioveva anche quella volta.
– Si, pioveva ma non era mica la Strega. Era Nardulli e ho preso nove all’interrogazione di chimica. La Strega sarebbe stata l’ora seguente, però non venne, perché aveva chiesto di essere sostituita, che la figlia aveva avuto quell’incidente. Venne il supplente, un tizio buffo con un cravattino di pelle arancione. Si chiamava Renzini e portava la riga a sinistra. Aveva una pupilla leggermente più dilatata dell’altra.
Seguirono alcuni i secondi durante i quali i due si guardarono senza dire altro.
Il maresciallo Lorelli si alzò lentamente dalla poltroncina, abbassò lo sguardo in direzione della piccola pozzanghera ai piedi dell’amico.
– Abbiamo quarantun anni e ne sono passati 23. E tu ti ricordi ogni cosa. Ma come fai? – era sinceramente sconcertato. – Io non mi abituo mai. Ti ricordi anche il giorno?
Lo scrittore a disagio non rispose.
– Roberto? Te lo ricordi il giorno?
– Io… magari potrei confondermi…
– Robertino, non voglio dirti che sei “sbagliato”, sei soltanto un tipo un po’ speciale. – Te lo ricordi il giorno?
“Che palle.”
Fessacchiotto abbassò gli occhi infastidito. Era sempre imbarazzato quando gestiva i propri ricordi. Lo sapeva bene che sarebbe risultato esageratamente dettagliato. Fece un respiro e cominciò.
– Mercoledì. 16 Maggio. Di 23 anni fa.
Sollevò lo sguardo, fissava il vuoto davanti a sé.
– Renzini era a disagio perché Mariangela al primo banco aveva una maglietta bianca abbastanza trasparente. Il gattino che ho salvato era Poukie. La figlia della Strega si fratturò la tibia sinistra. Tu avevi una macchia d’inchiostro sulla manica destra della camicia celeste, eri più preoccupato per quella macchia lì che del compito in classe nell’ora successiva di matematica. A quel compito poi prendesti sei e mezzo. Perché non avevi voluto essere aiutato. Scemo.
Il militare appoggiò le mani sulla scrivania e si sporse leggermente in avanti indicando col mento la pozza d’acqua sul pavimento.
– Robertino, hai un cervello davvero contraddittorio: me lo spieghi perché da più di un’ora ti tieni addosso quel cappottone sgocciolante senza toglierlo?
– Oh, ecco! – lo scrittore assunse un’espressione vagamente attonita, guardandosi il pastrano. – Ecco cos’era questo disagio umido!
Dopo il suo sguardo divenne perplesso, come velato da una sorta di malinconia.
– Non ci avevo pensato – disse quasi tra sé.
– Ma – aggiunse illuminandosi – potrei toglierlo!
Sorrise accendendo la stanza, con gli occhioni grandi e stupiti di un bambino che ha appena scoperto l’indirizzo di Babbo Natale al quale spedire letterine al Polo Nord.
Sorrise anche il maresciallo Domenico Lorelli, che conosceva bene Roberto Fessacchiotto da quando erano bambini: in qualche modo il suo amico da allora non era mai cambiato. Lo guardò armeggiare col cappotto vicino al radiatore: era davvero preso, si muoveva quasi con un approccio scientifico, misurava, scuoteva la testa, poi correggeva.
– Lo metto leggermente discosto, così si asciuga senza infeltrire, che ne dici?
Parlava soddisfatto, Fessacchiotto, ruotando la sedia su cui aveva steso il cappotto. La spostò leggermente all’indietro, una trentina di centimetri dal termosifone.
Poi, aprendo entrambe le mani in un gesto esplicito, come per dire “non occorre altro, non lo tocco più”, si voltò verso il maresciallo.
– Beh, è una formidabile invenzione! – la possibilità di asciugarsi e la sensazione di benessere lo avevano reso quasi euforico. – È davvero formidabile!
– Cosa?
– Acqua calda in tubi metallici che asciuga acqua fredda di cappotti intrisi! Un’applicazione scientifica sublime!
Lorelli lo osservava cercando di mantenere un contegno, purtroppo un accenno di tremore all’angolo della bocca lo tradì.
– Che c’è? – chiese lo scrittore.
– Senti, “Sublime”, ma ti sei visto?
– Perché?
Il maresciallo diede finalmente la libera uscita al sorriso desiderato:
– Ecco, sei in una caserma dei carabinieri, in stato di fermo, ti hanno trovato vicino al cadavere di una donna e tu ora disquisisci di scienza davanti a un banale termosifone indossando un pigiamino bianco con elefantini rossi!
Roberto Fessacchiotto rimase per un attimo perplesso. Si guardò le maniche.
Aggrottò la fronte.
– Io li avevo chiesti blu, però li avevano finiti. – Poi capì, alzando le sopracciglia. – Oh, certo, è un abbigliamento improprio. Ma io ero in pigiama e stavo abbassando le serrande quando ho visto la gattina in mezzo alla strada. Ho avuto solamente il tempo di infilare le scarpe, il cappotto e prendere i croccantini per attirarla.
– Se è per questo non hai nemmeno preso l’ombrello.
– No, quello l’avevo preso! Ma l’ho lasciato volutamente. Si sarebbe spaventata nel vederlo aperto. Certi micetti randagi sono paurosi, se ti percepiscono enorme non si fanno salvare.
– “Non puoi salvarli tutti, ma non puoi nemmeno voltarti sempre” – enunciò solenne il militare.
– Ah, bella frase.
– Gira su internet.
– Lo so – Fessacchiotto sorrise. – L’ho scritta io.
Il maresciallo sembrò sprofondare nella poltroncina, scrollando la testa.
– Te l’hanno fregata. L’ho vista firmata da un altro.
– Lo immagino. Accade di continuo, per questo scrivo romanzi e ho deciso di smettere di scrivere aforismi – alzò le spalle. – La metà delle mie frasi sono attribuite a Oscar Wilde.
– Internet è così, Roberto. È il regno dell’appropriazione. Almeno ti rimane l’altra metà.
– Non proprio. Purtroppo anche l’altra metà sul web è attribuita ad altri. A volte a Woody Allen o ad Albert Einstein. Qualche cosa anche ad Abramo Lincoln. È un mondo di ladri.
– Dillo a me! – esclamò il carabiniere.
Restarono a guardarsi in silenzio per un lungo istante, e poi fecero nello stesso momento una faccia buffissima nel medesimo modo, con la stessa ironia: con gli occhi spalancati, la bocca socchiusa, le spalle alzate e le mani con le dita aperte.
Ridicoli.
Era un ricordo di una qualche goliardia passata, evidentemente, la citazione di qualcosa che apparteneva solo a loro e li univa.
In quel preciso momento il carabiniere con l’uniforme elegante e lo scrittore con il pigiama buffo dagli elefantini rossi si assomigliarono, sembrarono di nuovo due ragazzini.
Ridicoli, si. E fieri di esserlo.
Il primo a tornare serio fu il maresciallo Lorelli.
– Ti devo fare un po’ di domande sulla donna morta, Robertino.
– Ma non ti hanno detto niente i due di pattuglia?
– Sì, sì, però serve che me lo confermi.
– Beh, stavo cercando di salvare la gattina che s’era nascosta sotto il furgone per ripararsi dalla pioggia forte. Quando mi sono abbassato ho visto il cadavere sul marciapiede, proprio lì dietro al veicolo. I tuoi uomini sono arrivati proprio in quel momento. Quasi me la facevano perdere. Quando sono riuscito ad acchiapparla mi sono girato subito. Un altro po’ e mi sparavano…
– Roberto, mi serve la tua memoria fotografica. Nei minuti prima hai visto niente, hai notato nulla?
– Che io ricordi, no.
– Nessuno? Pensaci bene, anche dalla finestra di casa tua, che ne so, un passante, una macchina che partiva?
– Nemmeno l’ombra. Non girava nessuno con quel tempo da lupi.
– Sei sicuro? Se ti torna in mente qualcosa fammi sapere.
– Qualcosa mi torna sempre in mente, lo sai.
– Dai, ti faccio accompagnare a casa – Domenico firmò un foglio e lo porse all’amico. – Non sei più in stato di fermo.
– Dodo, posso…
– No.
– Ma non…
– No. La gattina la tengo io fino a domani. Per la legge è una prova, e dobbiamo fotografarla e schedarla. So che è paradossale, però è così. Tecnicamente è paragonata a un oggetto di proprietà.
– Un oggetto? Ma mica è un…
– Non ti preoccupare. Lasciami i croccantini e vieni a riprendertela domani pomeriggio.
Fessacchiotto e Lorelli si sporsero in avanti per guardare la micetta nel cassetto. Dormiva, acciambellata. Roberto era pensoso e indicò le foto sulla scrivania.
– Tu mi vuoi qui anche domani per coinvolgermi nell’indagine della donna uccisa. Usi la gattina per tirarmi dentro.
Il carabiniere piegò gli angoli della bocca all’ingiù.
– Boh, non so di cosa parli. Sei malfidato. Io rappresento l’Arma, non uso certi “mezzucci” – disse mimando le virgolette con le mani.
– Tuttavia – confessò – so che prima o poi i pensieri affastellati della tua mente trovano sempre il loro posto e il loro perché.
Guardò l’amico per un istante, alzò le sopracciglia e aggiunse:
– Per quanto a volte possano anche sembrare improbabili e confusi, eh? – disse sorridendo.
Lo scrittore era altrove. Si inteneriva a guardare la micetta, dopo un po’ si scosse.
– Si, però mica è un oggetto…
– Ne avrò cura, promesso.
– Avrà a malapena quaranta giorni. È probabile che non sia ancora svezzata. Ora ti lascio i croccantini, non è detto però che li sappia già mangiare, forse dovrai ammorbidirli nel latte…
– Lo faccio comprare subito, a quest’ora il bar starà aprendo, mando qualcuno.
– No! – Roberto aprì la mano, come per fermarlo. – Dodo, è sbagliato. Gli farebbe male.
– Ma come? Hai appena detto…
– Il latte di mucca è nocivo per i gatti.
Che dici? Ho sempre visto ciotole con il latte.
– Si, nei cartoni animati! La realtà è differente. Lo sanno in pochi, ma è deleterio. Fai prendere del latte di capra. Oppure semplice acqua, o latte in polvere per gattini, al negozio per animali.
Agguantò il suo cappotto con una mano mentre con l’altra puntò il dito verso l’amico.
– Ma non latte di mucca! – disse con enfasi, agitandolo.
Era ancora umido, il suo pastrano.
– Abramo Lincoln! Ma ci pensi? Io scrivo frasi e il web le attribuisce ad Abramo Lincoln!
Mentre infilava il cappotto sul pigiama, curvo, ripeteva sottovoce il concetto circa il latte, borbottando tra sé e sé.
– Mai il latte di mucca! È meglio il latte di capra. Bisogna trovare del latte di capra…
In effetti, prima o poi, per quanto alcune volte potessero sembrare improbabili e confusi, i pensieri affastellati nella mente di Roberto Fessacchiotto trovavano sempre il loro posto e il loro perché.
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Ora sapete con chi avete a che fare.
Adesso conoscete come funziona la mente di Roberto.
Ogni pensiero, ogni bizzarro tassello nella sua testa non è mai casuale.
Il prossimo capitolo parlerà delle donne e dei gatti.
Di una sottoveste rossa di raso che equivale a una promessa.
E una promessa non sempre viene mantenuta.
LO SCRITTORE, I SUOI GATTI E UN MISTERO
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