CAPITOLO UNO
IL CAPITOLO CHE RACCONTA DELL’OMICIDIO.
Ci sono notti bruttissime in cui piove a dirotto e tira pure vento, sono quelle fredde freddissime in cui le gocce sulla faccia pungono come spilli perché il vento te le scaglia addosso con una mira infallibile e le concentra arrabbiato su di te.
Ah, sono notti così buie che i colori nemmeno escono di casa, e fuori alla luce dei lampioni tutto è grigio, e senza luce dei lampioni invece è nero.
E quelle notti, per loro stessa natura, alle due e mezza-tre sono ancora più notti.
Beh, in quelle notti in cui nulla è caldo, nemmeno le gengive, in quell’orario indeciso tra il troppo tardi e il troppo presto, nessuno uscirebbe per strada, a piedi, senza ombrello e senza motivo.
Questo pensavano i due carabinieri che da dietro il vetro appannato della loro auto parcheggiata stavano osservando la strana figura in piedi, in mezzo alla strada deserta, che agitava un pacchetto tenuto nella mano sinistra.
Lo scuoteva energicamente producendo un rumore che sovrastava quello della pioggia, e quando camminava si muoveva in modo estremamente scoordinato, a volte piegando il busto, chinandosi, a volte no.
La sua forma nera risaltava contro lo sfondo grigio di una massa grigia di gocce fitte e grigie: una sorta di pulviscolo acquoso e vibrante che appariva e scompariva, si affievoliva e s’accentuava trasversale per la spinta del vento furente e vendicativo.
L’uomo senza ombrello era zuppo fino al midollo.
Procedette cauto verso il furgone parcheggiato sotto il lampione spento.
Piegò le gambe, avanzando per vedere meglio qualcosa.
Arrivato più vicino s’inginocchiò ed ebbe un brivido di soddisfazione: sotto il veicolo, nel buio della sua stessa ombra, vide distintamente i due occhi sbarrati che lo guardavano terrorizzati.
Fu così che lo trovarono i carabinieri della gazzella di pattuglia che sopraggiunsero pochi istanti dopo alle sue spalle.
Inginocchiato al buio in una pozzanghera, rivolto verso la fiancata del furgone, sotto una pioggia battente che si accaniva sulle sue grandi spalle curve, incuranti.
A un metro da lui, dietro la ruota posteriore, sporgeva la gamba di una donna, la scarpa capovolta a fianco del piede, il tacco rotto.
I due militari puntarono le armi lucide di pioggia.
– Siamo carabinieri. Metta le mani sulla testa, si volti lentamente – disse uno dei due, quello magro e alto.
La figura di spalle si piegò ancora di più, quasi infilandosi sotto al furgone.
– Non se lo faccia ripetere, signore. Alzi le mani e si volti, siamo armati.
– Non posso – disse l’uomo con la testa e le braccia ormai sotto il veicolo.
Il carabiniere grasso perse la calma e alzò la voce.
– Adesso tu ti giri con le mani alzate e ti fai vedere in faccia, o ti spariamo nella schiena!
– Non posso, ho detto! Aspetta – disse l’uomo – Aspetta, ho quasi fatto.
Il carabiniere grasso guardò il collega con aria interrogativa. Per tutta risposta, determinato, questi appoggiò la pistola alla nuca dell’uomo accucciato.
La canna era più fredda della pioggia, del vento e della pozzanghera in cui era inginocchiato, ma l’uomo non fece una piega, continuando a fare quel che stava facendo.
La voce del militare fu un sibilo.
– Smetti immediatamente e voltati. Hai tre secondi. Poi sparo.
– Ancora un momento, Cristo. Ci sono quasi.
– Uno…
Il vento tagliava la faccia.
– Aspettate, non posso ancora.
– Due…
Nel buio la schiena dell’uomo sembrava vibrare.
– Non posso, ho detto. Datemi un altro secondo.
– Tre!
– Ho fatto, mi giro! – disse l’uomo tirando indietro la testa – Mi giro, ma non posso alzare le mani – disse arretrando.
Il busto era ormai completamente verticale, i carabinieri avevano fatto un passo indietro, le armi erano puntate contro la figura scura ancora inginocchiata.
– Lo faccia lentamente, signore, molto lentamente. Si giri lentissimo.
Fu così che fece.
Si voltò con estrema lentezza, le mani premute contro il petto, mentre il carabiniere alto gli puntava addosso la luce di una torcia.
Non mi sparate – disse uscendo dal buio – Sono Roberto Fessacchiotto, sono uno scrittore.
Aveva il volto completamente bagnato, gli occhi azzurri brillavano alla luce della torcia ed erano l’unica nota cromatica in quella notte priva di colori.
-C’è una donna dietro a questo furgone – disse serio – Temo sia morta.
Poi fece uno strano sorriso, come soddisfatto, abbassando lo sguardo verso le proprie mani, all’altezza del petto, che stringevano qualcosa.
I militari istintivamente puntarono le pistole verso quel punto: la gattina aveva ancora gli occhi sbarrati, il pelo completamente zuppo, e tremava.
– L’ho acchiappata – spiegò Fessacchiotto – Ha tre colori, quindi è una femminuccia. Ora bisogna asciugarla e nutrirla. Posso raccogliere il pacchetto dei croccantini?
Nello stesso istante in cui le pistole si abbassarono, smise di piovere.
CONTINUA NEL CAPITOLO DUE.