CAPITOLO CINQUE: RACCONTA DELLA CORSA IN TAXI

Fessacchiotto Capitolo 05 titolo

CAPITOLO CINQUE
IL CAPITOLO CHE RACCONTA DELLA CORSA IN TAXI

17 Dicembre, Venerdì mattina.
Spalancò gli occhi.
Il telefonino stava suonando, Tondo non era più tra le sue braccia, la sveglia dal comodino gli puntava addosso le due lancette accusatorie, unite in perfetta sinergia sul numero dodici, allo scopo di farlo sentire orribilmente in colpa.
Il nome lungo sul telefono era inequivocabile, anche avendo gli occhi appannati: Ferdinando De Mabertis.
Avvertì quella sensazione di quando ritorna alla mente una promessa dimenticata esattamente pochissimi secondi prima del momento in cui occorre affrontare la situazione: Fessacchiotto svegliato di soprassalto non ebbe nemmeno il tempo di inventare una scusa, o la lucidità per capire che avrebbe pure potuto decidere di non rispondere subito.
Annaspando frenetico come un naufrago nel mare del sonno perduto agguantò il cellulare e irresponsabilmente premette il tasto verde.
Poi, sciagurato, con una voce che credeva convincente, rispose:
– Mmmmmpfhlonto?
– Roberto, porca puttana!
– Affpetta, gnon t’incacciare…
– Roberto, è mezzogiorno, sono da Mondadori, avevi gli autografi già mezz’ora fa!
– Ma che ghici? Fei impazzito? – stava recuperando la corretta dizione abbastanza in fretta, ora aveva anche le zeta, pensò illudendosi.
– Stai dormendo? Miseria ladra, Roberto, stai dormendo!
Lo scrittore rispose con un tono assolutamente convinto, degno di un attore teatrale shakespeariano:
– Ma gno, figurati! Ero solamente sicuro che l’appuntamento fosse a mezzoggiogno e mezza, dai, tra un quarto d’ora sarò lì… – mentì con disinvoltura, ora più sveglio, cosciente che la sua bocca avesse oramai recuperato (quasi) tutte le lettere dell’alfabeto.
– Stanno aspettando da mezz’ora! Qualcuno di loro persino da un’ora! Si stanno lamentando di te, lo capisci?
– Ferdy, offritegli il rinfresco e ditegli che il mio aeroplano ha avuto un ritardo, che il treno ha deragliato, o qualunque altra cosa li possa calmare. Arriverò tra un quarto d’ora. Chiamami un taxi e fallo venire qui a casa mia, così risparmio tempo, ci metto venti minuti.
– Cosa? Io ti devo chiamare un taxi? Stai scherzando?
– Grazie, Ferdy, sei un tesoro di agente! – Roberto aveva intanto tolto il pigiama e nudo come un verme zompettava per casa già sistemando i croccantini nelle ciotole dei suoi animali – Sarò da voi tra venticinque minuti, non dubitare!
– Se non sei qui al più presto puoi dire addio per sempre alla nostra collaborazione! Questo è il terzo ritardo in un mese! E oggi mettiti una cravatta seria, senza gattini o cagnolini!
– Ok, anch’io ti amo, Ferdy! Ora ti lascio la linea libera, che se non mi chiami il taxi rischio pure di arrivare tardi per colpa tua! Ci vediamo lì tra mezz’ora!
Attaccò il telefono prima di sentire l’agente letterario che lo mandava a quel paese.
Doccia e dentifricio insieme. In quattro minuti era pronto.
Non che fosse asciutto, ma era pronto.
In un altro minuto scarso mise pure le gocce nell’orecchio di Tondo e la solita pomata nell’occhio di Bruttoguercio.
– Apri occhietto, chiudi occhietto, apri occhietto, chiudi occhietto… – recitò in fretta la cantilena quotidiana mentre gli apriva e chiudeva le palpebre per fargli entrare la crema nell’unico occhio. Scrupoloso, si dava un certo ritmo nel farlo. Nemmeno stesse facendo un massaggio cardiaco. Il gattino lo ricambiava con le solite fusa, docile, abituato.
Fessacchiotto agguantò al volo una cravatta perlacea a tinta unita poi uscì di casa a tempo di record.
Si fermò sulla porta guardando l’interno dell’appartamento. I cinque gatti che lo avevano accompagnato all’ingresso lo guardavano attenti con quasi tutti gli occhi. Sapevano bene cosa sarebbe successo, lui non usciva mai senza salutarli. Aspettavano.
“Il taxi non sarà ancora arrivato” – pensò, calcolatore – “E l’ascensore è già al piano.”
Rientrò veloce accostando la porta, il pazzo scatenato.
Sgattenato.
Trascorse un altro intero minuto accarezzando e abbracciando i mici. Mezzo minuto per Bruttoguercio che aspettava seduto il suo turno di saluto, consapevole e paziente.
Dopo altri due e mezzo stava seduto sul sedile posteriore a bordo del taxi Asmara 31 allacciandosi i bottoni della camicia priva di pieghe. La giacca era poggiata al suo fianco, per non sgualcirla.
Aveva promesso una lauta mancia in cambio di una guida iperveloce all’anziano tassista che lo aveva riconosciuto e che adesso lo guardava con gli occhi ingranditi dalle lenti degli occhiali.
– Dottore, ma lei è quello della televisione? Lo scrittore?
– Sì, sono io.
– Madonna, se lo sa mia moglie! Ha tutti i suoi libri, sa? Li ha letti tutti e tre, dal primo all’ultimo. È una sua fans!
Roberto Fessacchiotto, che aveva già pubblicato diciannove romanzi, fece un sorriso indulgente.
– Davvero è una mia fan? Accidenti, la deve veramente ringraziare da parte mia. Ho bisogno dei miei Lettori per sentirmi utile, quindi grazie per avermelo detto.
Il taxi sfrecciava per le strade ormai asciutte della città, proprio come promesso. In effetti il tassista era un guidatore provetto e manteneva un’andatura veloce con disinvoltura, pur continuando a conversare.
– Guardi, quel libro del delitto nel castello lo stavo leggendo pure io, proprio ieri durante il turno di notte. Bello, dottó! Una storia davvero gagliarda! Ma il cancello arrugginito del cimitero chi l’avrebbe aperto? Alla fine si capisce chi era stato?
Dribblò un furgoncino troppo indeciso, superandolo.
– Secondo lei? – Fessacchiotto si stava facendo il nodo alla cravatta.
– Ah, io penso che sia stato il guardiano. Era l’unico con un movente e con la forza di spingerlo nonostante i cardini pieni di ruggine.
Roberto non fece una piega e continuò a fare il nodo.
– Non posso confermare e nemmeno smentire, signor…
– Manzini Omero, mi chiamo. Come fa?
– Cosa?
– Come fa a farsi il nodo alla cravatta senza guardarsi allo specchio?
– Oh, non so, sono abituato. È che quando firmo gli autografi mi vesto sempre da pinguino – disse autoironico con un sorriso indirizzato agli occhi dell’autista che lo guardavano dallo specchietto. – Sa, per rispetto nei confronti del Lettore.
Quando Roberto Fessacchiotto pronunciava quella parola, sembrava sempre come se la pronunciasse con la “elle” maiuscola. Forse perché la sua voce profonda e il suo tono convinto la facevano sembrare quasi un nome proprio.
– Mia moglie me lo diceva che lei è una persona sensibile. Dice che si capisce da come scrive e da quello che scrive. Ha proprio letto tutti i suoi libri, sa?
– Eh, sì, sì, lo so. “Tutti e tre”. Sono lusingato.
– Ah, se Giuliana dice una cosa, ci può scommettere che è vera, dottó! Lei c’ha come un sesto senso per le persone giuste, le “sente” – fece un sorriso orgoglioso – Forse per questo m’ha scelto, quarant’anni fa.
L’uomo indicò la piccola foto sul cruscotto raffigurante un’orripilante megera. Allontanò la mano destra dal volante e accennò il gesto di una carezza, lieve, appena l’inizio, per poi fermarsi, pudico.
– È la mia Giuliana. La mia meravigliosa compagna di una vita. Lei ha una compagna, dottore?
“Mio Dio, non così brutta!” – si disse con orrore Roberto, odiandosi subito per il pensiero. Però rispose altro.
– Oh, in un certo senso sì. Ma non come la sua, Omero. Cioè, non una storia così stabile – si corresse immediatamente.
“Avercela, una storia stabile” – pensò.
“Esserlo, una persona stabile”.
“Io t’invidio, Omero.”
Strinse meglio il nodo. Un nodo alla gola, anche in senso figurato.
“Le persone mi raccontano i loro sentimenti ed io invece non riesco a mettere bene a fuoco i miei” – pensava. Controllò le due estremità della cravatta: quella sopra era più lunga di quella sotto. La differenza erano tre dita circa; inequivocabile segno che il nodo, stretto, era veramente perfetto. Ferdinando sarebbe stato contento, finalmente.
Ma nella vita i nodi vanno sciolti. Non basta che siano perfetti.
“Devo chiamare assolutamente Amélie.”
Non l’avrebbe chiamata, invece.
Non più tardi di ventidue minuti dopo avrebbe accoltellato un uomo, disatteso le aspettative di centinaia di fan e la bella cravatta perlacea sarebbe diventata rossa di sangue.

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Un pubblico affezionato in fila per un suo autografo.
Lo scrittore a contatto con i suoi lettori; ogni persona per lui è una storia.
E come ogni storia, non è garantito un lieto fine.

LO SCRITTORE, I SUOI GATTI E UN MISTERO
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Fessacchiotto Capitolo 06 titolo

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